Pubblicità

Psicologia delle Migrazioni

0
condivisioni

L’abisso che ci separa dall’Africa

abisso africaPassano i mesi, passano gli anni. E anche le nostre idee sull'immigrazione si trasformano.

Quando tre anni fa abbiamo iniziato ad accogliere i profughi siriani, posso dire che per me era stato un periodo piacevole perché erano tutte persone con le quali siamo andati sempre in sintonia, che più o meno erano andate a scuola, avevano avuto un lavoro e una vita molto simile alla nostra.

E nessuno di loro comunque aveva voluto fermarsi in Italia.

Molti di loro erano stati ospiti a casa mia, quasi sempre per brevi periodi, e non avevo mai avuto alcun problema, anzi, mi avevano sempre aiutato facendomi trovare la cena pronta e la casa pulita. E con il passare del tempo l'amicizia che si era creata ha continuato a unirci anche se ora vivono in Svezia, Olanda, Germania...

Poi tutto è cambiato molto in fretta e non è stato facile adattarsi ai nuovi arrivati e accorgerci dell'abisso che ci separa.

I nuovi profughi provengono quasi tutti dall'Africa sub sahariana. Da est a ovest. Mali, Ghana, Costa d'Avorio, Burkina Faso, Gambia, Senegal, Guinea Konakry, Liberia, Nigeria, Eritrea, Somalia, Sudan.

In molti di questi paesi avevo già lavorato, nel corso degli anni, quindi mi sono sentita sempre a mio agio nella relazione con loro e nei colloqui.

Pensavo anche di conoscere abbastanza la loro cultura e non nego che quando ero stata in Africa ne avevo spesso subito il fascino.
Probabilmente anche le condizioni degli arrivi e dell'accoglienza sono cambiati e  in questi ultimi mesi e si è reso sempre più evidente l'abisso che ci separa.

Molti problemi sono dovuti al numero enorme di persone che sono arrivate e che spesso sono costrette a vivere sulla strada oppure in centri sovraffollati dove è difficile occuparsi di ogni singola persona. Se un centro ospita un centinaio di persone, non ci sono problemi. Ma se si arriva a duecento e in certi casi anche a seicento, è impossibile conoscerli tutti e capire cosa hanno nella mente. Spesso dobbiamo confrontarci con quanto hanno fatto o detto i loro guaritori tradizionali che si erano occupati della loro salute quando erano in Africa. Non è semplice perché a volte essi hanno fatto gravi errori sul corpo del paziente, che niente hanno a che fare con la medicina.

Dobbiamo anche accettare prima il fatto che circa il 60% dei profughi risulta completamente analfabeta e senza esperienze lavorative, se non quelle dell'accudimento di animali o di lavoro nei campi. Questo è un grosso handicap quando cerchiamo di farli confrontare con la nostra cultura.

Pubblicità

A volte dobbiamo spiegare le stesse cose quasi tutti i giorni e tutto cade sempre nel vuoto.

Quelli che accettano di andare a scuola sono un numero abbastanza ristretto. Capita che dopo un anno e mezzo molti non siano ancora in grado di esprimere una frase in italiano.

Ma ci vengono a dire che vogliono assolutamente lavorare e si arrabbiano se ripetiamo che senza conoscere la lingua non ci può essere lavoro. Così continuano a restare tranquilli tutto il giorno, raccolti in piccoli gruppi o soli, sempre con il cellulare in mano.

Un altro problema sul quale dobbiamo continuamente discutere è quello sul cibo. Ogni etnia vorrebbe il cibo al quale è abituata, ma se di etnie ne abbiamo sedici dobbiamo per forza in qualche modo unificarle, pur tenendo ben presente le loro preferenze.

Ma non c'è niente da fare, il problema si ripresenta tutti i giorni.

Ma il problema più grave a mio avviso emerge nel modo di relazionarsi fra di loro ed è quello che sopra tutto mi fa capire che difficilmente riusciranno inserirsi in un contesto così diverso da quello a cui sono stati abituati. Spesso si rivelano molto violenti. Basta un nonnulla perché si scatenino uno contro l'altro. Nelle sere in cui mi capita di lavorare sul camper-ambulatorio di Medici Volontari Italiani, sul piazzale antistante la Stazione Centrale di Milano, accade spesso che litighino tra di loro e si facciano del male. Sono quasi tutti Africani che vivono sulla strada.

Parlano sempre con toni di voce molto alti e in pochi secondi passano alle mani e poi, se ci sono, anche ai coltelli.

Tutto questo mi ricorda il mio breve intervento lavorativo a Juba, in Sud Sudan. Facevo dei colloqui nei campi profughi e mi è capitato più volte di chiedere a delle donne, vedove:

“Quando è morto suo marito?”
“ Stanotte”, mi rispondevano.

Cioè si svegliavano al mattino con il campo profughi mezzo devastato e i mariti uccisi. I campi profughi erano pieni di vedove con bambini.

E il Sud Sudan è il paese più povero e più insicuro che io abbia mai visitato. Spesso, mi sono sempre chiesta: “Se si uccidono uno con l’altro dove potranno mai arrivare?”.

Beh! Molti di loro sono arrivati a Milano.

 

Pubblicità

 

 

 

Il silenzio della paura
Sessualità e colpa (Ci vuole un maschio/ci vuole u...
 

Commenti

Già registrato? Login qui
Nessun commento ancora fatto. Sii il primo a inserire un commento

By accepting you will be accessing a service provided by a third-party external to https://www.psicoline.it/

0
condivisioni

Pubblicità

Pubblicità

I Sondaggi di Psiconline

Le festività ti aiutano a stare meglio?

Pubblicità

Le Risposte dell'Esperto

Pensiero ossessivo (1624140870…

Fabio, 34 anni     Gentile Dottoressa/Dottore! Mi chiamo Fabio e 5 anni fà ho commesso un errore di tipo erotico.Ho cominciato a scambiare dei...

Problemi con marito [162342796…

Viola, 38 anni     Buongiorno, avrei bisogno di un consulto per dei problemi con mio marito.Mio marito è molto irascibile ma oltre a urlare no...

Ansia e paura nella guida [162…

Clarissa, 22 anni       Salve, vi scrivo perchè da un paio di mesi sto facendo le guide in autoscuola ma la sto vivendo un po' male...

Area Professionale

La trasmissione intergenerazio…

Modificazioni epigenetiche nei figli di sopravvissuti all’Olocausto I figli di persone traumatizzate hanno un rischio maggiore di sviluppare il disturbo post-t...

Il Protocollo CNOP-MIUR e gli …

di Catello Parmentola CNOP e MIUR hanno firmato nel 2020 un Protocollo d'intesa per il supporto psicologico nelle istituzioni scolastiche. Evento molto positiv...

Come gestire il transfert nega…

Per non soccombere alle proiezioni negative del transfert, lo psicoterapeuta deve conoscere con convinzione ciò che appartiene alla psiche del paziente e ciò ch...

Le parole della Psicologia

L’adolescenza

L'adolescenza (dal latino adolescentia, derivato dal verbo adolescĕre, «crescere») è quel tratto dell'età evolutiva caratterizzato dalla transizione dallo stato...

Balbuzie

La balbuzie interessa circa l’1% della popolazione mondiale (tasso di prevalenza), ma circa il 5% può dire di averne sofferto in qualche misura nel...

Confabulazioni

La confabulazione è un sintomo frequente in alcune malattie psichiatriche, dovuto alla falsificazione dei ricordi. Questa sintomatologia clinica è mostrata da ...

News Letters

0
condivisioni